Scalzi. Come chi viaggia per mesi, attraversa terre e confini, divora i chilometri per lasciarsi alle spalle tutto l’orrore, con un bagaglio pieno di speranza e progetti di vita. E non c’è nessun muro che li possa fermare, né quelli di ferro a difesa dei confini né il filo spinato ancor più tagliente dell’indifferenza, dei pregiudizi, dell’astio e della paura dell’altro. Sono queste le prime barriere che devono essere abbattute e il primo colpo, ben piazzato, lo ha sferrato ieri la città di Palermo, la prima città d’Italia ad aprire la “Marcia degli scalzi”, a sostegno di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. I giornalisti hanno contato circa cinque mila presenze. Chi era presente molte meno. Ma per una volta i numeri non sono stati importanti, così come il nome, il titolo, la nazionalità, il colore della pelle. Il Centro Astalli Palermo era presente, senza striscioni né simboli, perché per una volta nemmeno l’appartenenza contava, fermamente convinti che quando si parla di diritti fondamentali l’unica cosa veramente importante sia essere uniti nel credere che il rispetto e la dignità della persona umana vadano messi al primo posto. La marcia è iniziata davanti il Teatro Massimo, simbolo della Cultura, di qualcosa che per definizione non esclude, che fa della diversità una ricchezza, simbolo di un’identità siciliana di cui il patrimonio culturale, sociale e umano dei migranti rappresenta una componente fondamentale. Poi verso via Ruggero Settimo, via Emerico Amari, l’incrocio con via Roma e via Crispi e la gente che si fermava a guardare tutti quei piedi nudi sull’asfalto. Fino ad arrivare al porto di Palermo, l’approdo di chi, dopo estenuanti viaggi, tocca la terra della propria speranza. E vicino tutti quei piedi nudi un foglio con oltre 20.000 nomi, 20.000 vite spezzate dal mare, accanto a quelle che invece un nome non l’hanno perché si sono spente troppo lontano dagli occhi dell’Occidente. 20.000 morti a ricordarci che dietro l’apertura delle frontiere dell’Europa che ci racconta la cronaca degli ultimi giorni, hanno peso la vita migliaia di uomini, donne e bambini, che ancora non sono stati previsti canali sicuri di ingresso, che manca una politica europea dell’asilo, che «accogliere è l’unica via per restare umani», che i profughi non sono solo quote da ripartire equamente tra i vari paesi, ma prima di essere migranti, rifugiati, richiedenti asilo sono persone umane. La marcia si è conclusa con la danza della pace e con la lettura di alcune testimonianze di chi, purtroppo, non ce l’ha fatta. «Che ritorni la pace e l’allegria. Questa terra è la vostra ed è anche la mia»
set 11 2015
La Marcia degli scalzi a Palermo. «Perché accogliere è l’unica via per restare umani»
Scalzi. Come chi viaggia per mesi, attraversa terre e confini, divora i chilometri per lasciarsi alle spalle tutto l’orrore, con un bagaglio pieno di speranza e progetti di vita. E non c’è nessun muro che li possa fermare, né quelli di ferro a difesa dei confini né il filo spinato ancor più tagliente dell’indifferenza, dei pregiudizi, dell’astio e della paura dell’altro. Sono queste le prime barriere che devono essere abbattute e il primo colpo, ben piazzato, lo ha sferrato ieri la città di Palermo, la prima città d’Italia ad aprire la “Marcia degli scalzi”, a sostegno di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. I giornalisti hanno contato circa cinque mila presenze. Chi era presente molte meno. Ma per una volta i numeri non sono stati importanti, così come il nome, il titolo, la nazionalità, il colore della pelle. Il Centro Astalli Palermo era presente, senza striscioni né simboli, perché per una volta nemmeno l’appartenenza contava, fermamente convinti che quando si parla di diritti fondamentali l’unica cosa veramente importante sia essere uniti nel credere che il rispetto e la dignità della persona umana vadano messi al primo posto. La marcia è iniziata davanti il Teatro Massimo, simbolo della Cultura, di qualcosa che per definizione non esclude, che fa della diversità una ricchezza, simbolo di un’identità siciliana di cui il patrimonio culturale, sociale e umano dei migranti rappresenta una componente fondamentale. Poi verso via Ruggero Settimo, via Emerico Amari, l’incrocio con via Roma e via Crispi e la gente che si fermava a guardare tutti quei piedi nudi sull’asfalto. Fino ad arrivare al porto di Palermo, l’approdo di chi, dopo estenuanti viaggi, tocca la terra della propria speranza. E vicino tutti quei piedi nudi un foglio con oltre 20.000 nomi, 20.000 vite spezzate dal mare, accanto a quelle che invece un nome non l’hanno perché si sono spente troppo lontano dagli occhi dell’Occidente. 20.000 morti a ricordarci che dietro l’apertura delle frontiere dell’Europa che ci racconta la cronaca degli ultimi giorni, hanno peso la vita migliaia di uomini, donne e bambini, che ancora non sono stati previsti canali sicuri di ingresso, che manca una politica europea dell’asilo, che «accogliere è l’unica via per restare umani», che i profughi non sono solo quote da ripartire equamente tra i vari paesi, ma prima di essere migranti, rifugiati, richiedenti asilo sono persone umane. La marcia si è conclusa con la danza della pace e con la lettura di alcune testimonianze di chi, purtroppo, non ce l’ha fatta. «Che ritorni la pace e l’allegria. Questa terra è la vostra ed è anche la mia»