I’m sorry. Prima di vederlo riconosciamo la sua voce, cavernosa come quella di Mario Biondi. I’m sorry. E sappiamo che è lui.
I’m sorry, ormai tutti lo chiamiamo così. Viene dal Senegal, ride sempre, ma a volte si arrabbia spaventosamente. I’m sorry. E’ il suo intercalare continuo, che scandisce ogni frase. Probabilmente dà il tempo alla sua vita. Parla benissimo in italiano, con proprietà di linguaggio. E ironia. I’m sorry. Dice di conoscere sette lingue, ed è vero; parla con chiunque entri e tutti lo comprendono. I’m sorry. Era, anzi è, un ingegnere informatico. Almeno così dice, e deve essere vero. I’m sorry. E’ musulmano e ha sempre una frase del Corano per ogni situazione. I’m sorry. Quando arriva mette il buonumore con le sue performance: canta, si muove ballando e ci prende in giro. E svela profonde verità. I’m sorry. Molti dicono che prima non era così, almeno prima dell’incidente. Racconta di essere rimasto due settimane in coma. I’m sorry. E’ un rifugiato. Ha un impermeabile chiaro, due paia di pantaloni uno sull’altro. E infradito. I’m sorry. Viene a chiedere sempre spazzolino e dentifricio. E scarpe. I’m sorry. Ne ha prese un paio venerdì. Oggi ha di nuovo le infradito. I’m sorry. Arriva quando è chiuso e vuole fare la doccia, e ancora scarpe. Gli chiediamo come mai, se le ha avute due giorni addietro. I’m sorry. Ride. Canta. Ha una voce melodiosa. E accenna un passo di danza. I’m sorry: vivo per strada, me le rubano. E ride. Ma non di un riso stupido. Mamma, ti posso chiamare mamma? O preferisci cognata. Tuo marito è musulmano. I’m sorry. Pronucia in arabo una sura del Corano e me la traduce: Dio ha detto che sono tutti fratelli coloro che credono nello stesso Dio. Hai del latte? Oggi non ho mangiato. Gli do della rosticceria senza prosciutto che avevo portato per loro. Mi chiede venti centesimi per comprare l’acqua. I’m sorry. Non possiamo dare denaro. Prendo una bottiglia dalla cucina. Mi guarda e ride: fuori fa freddo e anche l’acqua è fredda, di certo non mi scalda.I’m sorry, devo uscire. Non riesco a trattenere le lacrime. Mi chiedo quanto realmente sia fuori di testa e quanto si prenda e ci prenda in giro per non impazzire davvero. I’m sorry Abdul Fateh. Te lo dico a nome di tutti quelli che ti hanno fatto del male.
lug 1 2015
I’m sorry
I’m sorry. Prima di vederlo riconosciamo la sua voce, cavernosa come quella di Mario Biondi. I’m sorry. E sappiamo che è lui.
I’m sorry, ormai tutti lo chiamiamo così. Viene dal Senegal, ride sempre, ma a volte si arrabbia spaventosamente. I’m sorry. E’ il suo intercalare continuo, che scandisce ogni frase. Probabilmente dà il tempo alla sua vita. Parla benissimo in italiano, con proprietà di linguaggio. E ironia. I’m sorry. Dice di conoscere sette lingue, ed è vero; parla con chiunque entri e tutti lo comprendono. I’m sorry. Era, anzi è, un ingegnere informatico. Almeno così dice, e deve essere vero. I’m sorry. E’ musulmano e ha sempre una frase del Corano per ogni situazione. I’m sorry. Quando arriva mette il buonumore con le sue performance: canta, si muove ballando e ci prende in giro. E svela profonde verità. I’m sorry. Molti dicono che prima non era così, almeno prima dell’incidente. Racconta di essere rimasto due settimane in coma. I’m sorry. E’ un rifugiato. Ha un impermeabile chiaro, due paia di pantaloni uno sull’altro. E infradito. I’m sorry. Viene a chiedere sempre spazzolino e dentifricio. E scarpe. I’m sorry. Ne ha prese un paio venerdì. Oggi ha di nuovo le infradito. I’m sorry. Arriva quando è chiuso e vuole fare la doccia, e ancora scarpe. Gli chiediamo come mai, se le ha avute due giorni addietro. I’m sorry. Ride. Canta. Ha una voce melodiosa. E accenna un passo di danza. I’m sorry: vivo per strada, me le rubano. E ride. Ma non di un riso stupido. Mamma, ti posso chiamare mamma? O preferisci cognata. Tuo marito è musulmano. I’m sorry. Pronucia in arabo una sura del Corano e me la traduce: Dio ha detto che sono tutti fratelli coloro che credono nello stesso Dio. Hai del latte? Oggi non ho mangiato. Gli do della rosticceria senza prosciutto che avevo portato per loro. Mi chiede venti centesimi per comprare l’acqua. I’m sorry. Non possiamo dare denaro. Prendo una bottiglia dalla cucina. Mi guarda e ride: fuori fa freddo e anche l’acqua è fredda, di certo non mi scalda.I’m sorry, devo uscire. Non riesco a trattenere le lacrime. Mi chiedo quanto realmente sia fuori di testa e quanto si prenda e ci prenda in giro per non impazzire davvero. I’m sorry Abdul Fateh. Te lo dico a nome di tutti quelli che ti hanno fatto del male.