Dawda era un gigante fragile come un bicchiere di cristallo. Un cancro al fegato lo rendeva vulnerabile anche ad uno spiffero d’aria. Dawda teneva sempre gli occhi aperti a metà, in cui si poteva leggere quel dolore mordente che non lo lasciava mai; li chiudeva quando quel dolore diventava intenso ed insopportabile. Se gli chiedevi «Come stai ?», Dawda rispondeva sempre e nonostante tutto «bene» e se diceva «così così» quel giorno non era sicuramente un buon giorno per lui. Malato e lontano da casa e nonostante tutto non si è mai buttato via. Ha combattuto la sua battaglia fino all’ultimo, tra chemio e terapie sperimentali e anche quando i medici hanno allargato le braccia lui non si è arreso, perchè anche con un male bastardo dentro, lui ha continuato a mettersi in gioco ad amare quella vita così aspra, così amara.
Dawda era arrivato dal Gambia, accolto in un piccolo paese delle Madonie. Lì dopo dei controlli fatti in ospedale per frequenti dolori al fianco, gli era stata diagnosticata la patologia.
Un giorno avevano chiamato dalla struttura che lo ospitava, chiedendoci la possibilità di trasferirlo nella nostra struttura per potergli assicurare le cure e la vita dignitosa che loro non erano in grado di garantirgli. Da quel momento è partita la fervida attività dei volontari e operatori per occuparsi di lui e rendergli la sofferenza più lieve. Ma con Dawda era semplice, rideva sempre, diceva sempre grazie, si teneva attivo cercando di partecipare alle attività del centro, provava a non far parlare di lui solo in termini della sua malattina, lui non era quel cancro e se quello aveva attaccato il suo corpo, almeno non avrebbe scalfito la ua personalità, la sua anima, non sarebbe diventato la sua essenza. «Era un ragazzo speciale, si faceva voler bene da tutti», lo ricorda così Giovanni, l’operatore che durante la permanenza al Centro Astalli gli è stato più vicino.
Tra i meandri della medicina, si è fatto guidare da i nostri operatori, con la voglia di voler fare sempre qulcosa per lui, anche quando gli effetti della chemio erano devastanti, quando la bocca sapeva di fiele e il corpo sembrava non rispondere più ai suoi comandi, quando le mani sono diventate dure e callose e i piedi pieni di piaghe tanto da costringerlo a letto.
Quando non c’è stato più nulla da fare, i miedici hanno sospeso le terapie e quegli effetti collaterali, che lo avevano tormentato per mesi, erano scomparsi. Si sentiva più forte, tanto da voler ricominciare la sua vita al nord, grazie all’aiuto di un cugino che gli avrebbe trovato un lavoro. Sapeva che non sarebbe vissuto a lungo, gli era stato spiegato anche grazie all’aiuto di mediatori per essere sicuri che capisse davvero la sua situazione. Ma lui era così, finché non era constretto a letto c’era sempre qualcosa che poteva fare per sé stesso, per gli altri.
La situazione è peggiorata nel gioro di pochi giorni mentre si trovava dal cugino e quando forse ha realizzato che non sarebbe ancora vissuto per molto, ha espresso il desiderio di tornare in Gambia, a casa sua, insieme ai suoi affetti più cari: i genitori, i fratelli, la moglie. Il Centro Astalli lo ha aiutato a realizzare il suo ultimo desiderio. Arrivato a casa sua ci ha mandato questa foto (seduto al centro dell’immagine) e tutti ci siamo sentiti consolati di non saperlo solo ma abbracciato dalla sua famiglia.
Dawda è morto la notte del 13 agosto e il giorno dopo non è stato altro che un rimbalzare di messaggi tra i volontari, operatori e tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. A migliaia di chilometri di distanza si piange la sua morte e vive il suo ricordo.
set 15 2017
«Ciao Dawda, grazie per i tuoi sorrisi, la tua forza, il tuo esempio». Il ricordo di volontari e operatori
Dawda era un gigante fragile come un bicchiere di cristallo. Un cancro al fegato lo rendeva vulnerabile anche ad uno spiffero d’aria. Dawda teneva sempre gli occhi aperti a metà, in cui si poteva leggere quel dolore mordente che non lo lasciava mai; li chiudeva quando quel dolore diventava intenso ed insopportabile. Se gli chiedevi «Come stai ?», Dawda rispondeva sempre e nonostante tutto «bene» e se diceva «così così» quel giorno non era sicuramente un buon giorno per lui. Malato e lontano da casa e nonostante tutto non si è mai buttato via. Ha combattuto la sua battaglia fino all’ultimo, tra chemio e terapie sperimentali e anche quando i medici hanno allargato le braccia lui non si è arreso, perchè anche con un male bastardo dentro, lui ha continuato a mettersi in gioco ad amare quella vita così aspra, così amara.
Dawda era arrivato dal Gambia, accolto in un piccolo paese delle Madonie. Lì dopo dei controlli fatti in ospedale per frequenti dolori al fianco, gli era stata diagnosticata la patologia.
Un giorno avevano chiamato dalla struttura che lo ospitava, chiedendoci la possibilità di trasferirlo nella nostra struttura per potergli assicurare le cure e la vita dignitosa che loro non erano in grado di garantirgli. Da quel momento è partita la fervida attività dei volontari e operatori per occuparsi di lui e rendergli la sofferenza più lieve. Ma con Dawda era semplice, rideva sempre, diceva sempre grazie, si teneva attivo cercando di partecipare alle attività del centro, provava a non far parlare di lui solo in termini della sua malattina, lui non era quel cancro e se quello aveva attaccato il suo corpo, almeno non avrebbe scalfito la ua personalità, la sua anima, non sarebbe diventato la sua essenza. «Era un ragazzo speciale, si faceva voler bene da tutti», lo ricorda così Giovanni, l’operatore che durante la permanenza al Centro Astalli gli è stato più vicino.
Tra i meandri della medicina, si è fatto guidare da i nostri operatori, con la voglia di voler fare sempre qulcosa per lui, anche quando gli effetti della chemio erano devastanti, quando la bocca sapeva di fiele e il corpo sembrava non rispondere più ai suoi comandi, quando le mani sono diventate dure e callose e i piedi pieni di piaghe tanto da costringerlo a letto.
Quando non c’è stato più nulla da fare, i miedici hanno sospeso le terapie e quegli effetti collaterali, che lo avevano tormentato per mesi, erano scomparsi. Si sentiva più forte, tanto da voler ricominciare la sua vita al nord, grazie all’aiuto di un cugino che gli avrebbe trovato un lavoro. Sapeva che non sarebbe vissuto a lungo, gli era stato spiegato anche grazie all’aiuto di mediatori per essere sicuri che capisse davvero la sua situazione. Ma lui era così, finché non era constretto a letto c’era sempre qualcosa che poteva fare per sé stesso, per gli altri.
La situazione è peggiorata nel gioro di pochi giorni mentre si trovava dal cugino e quando forse ha realizzato che non sarebbe ancora vissuto per molto, ha espresso il desiderio di tornare in Gambia, a casa sua, insieme ai suoi affetti più cari: i genitori, i fratelli, la moglie. Il Centro Astalli lo ha aiutato a realizzare il suo ultimo desiderio. Arrivato a casa sua ci ha mandato questa foto (seduto al centro dell’immagine) e tutti ci siamo sentiti consolati di non saperlo solo ma abbracciato dalla sua famiglia.
Dawda è morto la notte del 13 agosto e il giorno dopo non è stato altro che un rimbalzare di messaggi tra i volontari, operatori e tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. A migliaia di chilometri di distanza si piange la sua morte e vive il suo ricordo.